La pecora di Pasqua by Chiara Agnello Simonetta Agnello Hornby

La pecora di Pasqua by Chiara Agnello Simonetta Agnello Hornby

autore:Chiara Agnello Simonetta Agnello Hornby [Simonetta Agnello Hornby, Chiara Agnello]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Short Stories (single author), Fiction, General
ISBN: 9788858854853
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2016-11-08T23:00:00+00:00


6.

La famiglia ritornò in paese. Gianni partì per Parigi e Gesuela rimase con il padre, come al solito.

Ma era infelice. Soffriva di inappetenza e deperiva. Il padre si preoccupò. Non ci fu medico o luminare della scienza che non consultò per l’adorata figlia: se l’era portata, accompagnata da Nunziata, a Palermo, a Napoli, e magari a Genova. Il responso era stato lo stesso, ovunque: era presa dalla malinconia. Il padre aveva un altro motivo di preoccupazione: Gesuela era ossessionata dalle caprette di creta, che si era voluta portare persino in viaggio. Appena entrava nella stanza d’albergo dava ordine a Nunziata di togliere ninnoli e candelabri dalla mensola del camino e dai tavolini per disporre quel gregge di creta.

Nel frattempo, dalle lettere di Gianni e dalle mezze parole di Nunziata, Gesuela apprendeva che il latte di capra si vendeva bene, in paese e anche nelle vicinanze.

Gesuela ritornò a casa cambiata. Era cresciuta, e aveva deciso: a sedici anni avrebbe sposato Tano. Gianni l’accolse a braccia aperte: anche lui era cambiato; tutto abbronzato, era nel fulgore della gioventù. Le raccontò che c’era stata una paura di colera nella Sicilia occidentale e molti morti a Gebelfini Bassa, non lontano da Favara. Il paese gemello, Gebelfini Alta, ne era rimasto immune – si diceva – grazie al latte d’asina prescritto dal medico condotto come misura precauzionale. Un commerciante di Favara, che aveva visto Tano girare per il paese con le capre girgentane, aveva voluto provare il loro latte non potendosi procurare quello d’asina che andava a ruba: lui e la sua famiglia non erano stati contagiati, e così gli altri che lo avevano preso. Allora c’era stata una corsa al latte delle capre girgentane, tanto che lui aveva dovuto trovare in zona altri caprari che aiutassero Tano.

La mattina dopo il ritorno di Gesuela a Favara, Tano, ripulito e sbarbato per bene, con bei baffi biondi spioventi e scarpe nuove, si presentò a casa del medico con il suo latte. Dalla cucina, da dove era entrato conscio del proprio stato di subalterno, fu fatto passare nel salotto dov’erano Gesuela e suo padre. Il medico notò che per la prima volta Gesuela mangiava con appetito: si era servita abbondantemente dei biscotti che Tano aveva offerto loro in dono.

Da allora ogni mattina, quando Tano portava il latte, Gesuela si faceva trovare in cucina e scambiavano qualche parola. Poi lui partì, non si sapeva per dove. Gianni era in viaggio e lei non sapeva a chi rivolgersi.

Si avvicinava la Pasqua. Le monache del convento delle Benedettine di Favara preparavano i dolci pasquali, cupolette di pasta reale imbottita di zuccata o di conserva di pistacchi, magnificamente decorate dalle loro mani operose. Nelle case, gli stessi dolci venivano fatti dalle fimmine: la fattura era rozza, il gusto identico. A Narbone, Nunziata presiedeva alla manifattura e quell’anno anche Gesuela volle partecipare. Componeva roselline di ostia e modellava tralci e foglioline di pasta reale da applicare sulla velata ancora fresca dei dolci. E pensava a Tano. Pensando pensando, senza nemmeno accorgersene, anziché



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